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martedì 5 febbraio 2008

Ledger Heath

Nota: W Generation aveva dapprima deciso di accennare alla morte di Ledger Heath, solo marginalmente, senza evidenziare troppo l’accaduto tragico e scioccante, quindi evitando di scriverci sopra un articolo, sebbene di primo istinto, a tutti fosse venuto il desiderio di scrivere due parole.
Ma nei giorni successivi alla morte, non si è smesso di parlarne, strumentalizzando un avvenimento dolorosissimo ai fini di speculazione e pubblicità indecente.


LEDGER HEATH
[Ledger Heath]


Nessun sottotitolo per questa questione. E’ solo di lui, dell’Uomo, che vogliamo parlare. Da quando è morto, i giornali ne hanno scritte di tutti i colori. Si parla di droghe, di suicidio, di un personaggio che, a interpretarlo, gli è costato la vita.

Questi, sono i sottotitoli spietati che stanno sullo sfondo di una notizia tragica come la perdita improvvisa di un grande attore quale era Ledger Heath. Aveva appena finito di girare le scene di “The Dark Knight”, il seguito di “Batman Bigins”, di Christopher Nolan, nelle vesti del “clown schizofrenico, serial killer e psicopatico, incapace di compassione e privo di lati positivi”, ovvero il Joker.

Non è necessaria alcuna lode speciale per apprendere il meccanismo diabolico e meschino (irrispettoso, tra le altre cose, del dolore della famiglia, degli amici intimi, della moglie e della figlia di appena due anni) innescato da questi racconti appena sfornati: “Il JOKER dentro Ledger lo uccide”, “JOKER divora Ledger”, “Ledger resta intrappolato nell’ oscuro mondo di Joker e finisce con il suicidarsi”- Si parla di overdose, droghe, depressione da post-sceneggiatura. E’ un cocktail di astuta speculazione, che tende solo a innalzare la vendita dei biglietti per il film che uscirà in Estate; Saputo e risaputo è, in fondo, il fascino del mistero, del macabro, della morte dell’io buono, che cattura l’interesse e la curiosità di ogni potenziale spettatore, spettatore che pagherà un biglietto per scovare tra le piaghe imbruttite del Joker-Ledger, le verità che lo hanno condotto alla morte.

Peccato che non sono state trovate droghe nell’appartamento di Ledger Heath.
Creare un mito e distruggerlo. Usare la morte come strumento pubblicitario e di promozione. Sfruttare il dolore della gente per interesse privato. Spiaccicare sugli schermi di tutto il mondo, la versione fanta-giornalistica di una storia in realtà tragica: ecco i veri sottotitoli del giornalismo di tutto il mondo.

In realtà la morte è stata causata da un sovradosaggio accidentale di farmaci, per un uomo forse sì depresso, ma non per colpa di un Joker, ma molto più probabilmente per la mancanza di una figlia, che vedeva poco, a causa della separazione dalla moglie avvenuta di recente, e non piacevolmente digerita. Ma questa storia, ovviamente, nonostante sia l’ipotesi più ovvia circa la morte di Ledger, non avrebbe incrementato il successo di un film il cui ricordo, purtroppo, sarà legato alla morte di Ledger per sempre.

Noi di W Generation abbiamo scritto questo articolo per correre al lato opposto di quello slogan grottesco che si aggira “da Wikipedia a Rotten Tomatoes e dal New Yokr Times a Yahoo”: “E se ad ammazzare Ledger Heath fosse stato il Joker?”

Links:

http://www.corriere.it/cinema/08_gennaio_26/ledger_ruolo_joker_25730154-cc1c-11dc-91ff-0003ba99c667.shtmlhttp://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/inbreve/visualizza_new.html_11539347.htmlhttp://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=17690&sez=HOME_CINEMAhttp://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_mondo/2008-01-24_124161739.htmlhttp://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_cinema/2008-01-23_123160188.htmlhttp://www.cineblog.it/post/7983/la-figlia-di-heath-ledger-e-piu-joker-di-luihttp://www.cineblog.it/post/7836/jack-nicholson-parla-del-suo-e-del-nuovo-jokerhttp://www.cineblog.it/post/8729/heath-ledger-foto-gallery-ricordiamolo-cosihttp://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/persone/heath-ledger/heath-ledger/heath-ledger.htmlhttp://nuvoleparlanti.blogosfere.it/2008/01/la-maledizione-del-joker.html
http://spettacoli.blogosfere.it/2008/01/heath-ledger-autopsia-inconcludente-forse-un-sovraddosaggio-accidentale-la-cuasa-della-morte.html
http://4news.it/2World/Hollywood_in_lutto:_morto_Heath_Ledger-932.html

Valentina

Calcio

Il problema di non risolvere i problemi


Quando ci si trova di fronte un ostacolo, ci sono più possibilità di affrontarlo. C’è chi tenta di saltarlo, mettendosi in gioco e misurando le proprie capacità, e chi lo aggira, scegliendo la strada più semplice e comoda. Sono due alternative molto dissimili l’una dall’altra, ma entrambe efficaci: nel primo caso si dimostrano coraggio e impegno; nel secondo furbizia e pragmatismo. Ma c’è anche chi predilige una discutibile terza via: ignorare l’esistenza medesima dell’ostacolo, andando inevitabilmente a sbatterci contro.

E’, quest’ultimo, il triste caso di chi gestisce da tempo il calcio, lo sport (se ancora così può definirsi) più seguito e malato d’Italia, i quali si ostinano a non risolvere gli annosi problemi del mondo del pallone, semplicemente non affrontandoli o facendolo in maniera alquanto bizzarra e mal celatamente gattopardesca.

Quando il dio denaro prevale sulla passione e i sani principi lasciano il posto alla sete di potere, quando gli interessi dei singoli sovrastano quelli collettivi e i più ricchi abusano della propria condizione economica a discapito dei più deboli, quando i pochi ribelli vengono zittiti e confinati (vedi Zeman) e chi non è colpevole è quantomeno connivente o contiguo, quando – in un contesto sportivo – accade quanto sopra, non c’è lo spazio per risolvere i problemi né la volontà di riunirsi attorno a un tavolo e mettere da parte dissidi e incomprensioni per il bene comune. Semmai, si può fingere di farlo.
Il calcio è sempre stato uno sport diverso dagli altri. Forse per il suo status di sport nazionale ha sin dal principio creato delle vere e proprie rivalità tra le città, ancor più se della stessa regione, vogliose di ottenere un’illusoria e aleatoria supremazia territoriale. Ma negli ultimi decenni la situazione è peggiorata in maniera esponenziale. I cittadini, stressati e frustrati dai problemi di tutti i giorni – e incapaci di gestire sia essi che se stessi – hanno trasformato il calcio in una delle tante armi di distrazione di massa: il cittadino, all’interno di uno stadio o davanti ad uno schermo, si distrae dai veri problemi quotidiani; se la squadra del cuore vince può sfogare la propria rabbia repressa, illudendosi che la vittoria sia anche propria, se perde può sempre additare come responsabili gli arbitri e quant’altri capitino a tiro. In ogni caso si aliena dalla realtà, nell’effimera convinzione di ricavarne un sollievo.
A esasperare il tutto ci pensano calciatori, allenatori e dirigenti delle società, i quali danno troppo spesso un cattivo esempio a chi li osserva. Si è per molto tempo ignorato questo particolare, negando il nesso tra il comportamento di chi sta in campo e quello di chi tifa. Si è dunque continuato imbelli ad assistere a episodi di autentica violenza, verbale e fisica, tra i protagonisti del calcio, senza che s’intervenisse, ignorando insomma l’ostacolo e sbattendoci contro.
Ma quando si sbatte, spesso, si rischia di farsi del male, molto male, finanche di morire. La violenza crescente e dilagante delle frange estreme delle tifoserie è sfociata più volte in episodi di sangue. Dopo la morte di Raciti, il poliziotto rimasto ucciso al termine di Catania-Palermo della scorsa stagione, i signori del calcio si accorsero che, forse, bisognava intervenire. Seguì un periodo di riflessione durante il quale si pensò addirittura di sospendere il campionato per un periodo lungo e indeterminato, affinché si potessero studiare al meglio i piani adatti a risolvere il problema della violenza e quelli connessi ad esso. Tanto clamore per nulla: trascorse due settimane, Raciti finì nel dimenticatoio e si ritornò a giocare come se nulla fosse accaduto, ignorando una volta di più le indubbie responsabilità di chi il calcio lo vive dall’interno.
Quando, poi, si tenta di trovare un rimedio, i risultati sono patetici. Da qualche settimana, ad esempio, si è deciso di imporre il terzo tempo: i calciatori delle due squadre, al termine di ogni gara, devono – o dovrebbero – stringersi la mano in segno di rispetto. Trattasi della brutta e goffa copia di quanto accade nel rugby, dove gli atleti – di loro spontanea volontà – si riuniscono a fine match, lasciando sul serio alle spalle quanto accaduto sul campo da gioco.
Così facendo, si è ottenuto il risultato inverso: se prima si poteva registrare qualche episodio di sportività, come una spontanea stretta di mano o uno scambio di maglia, adesso la nuova regola ha meccanizzato il tutto, mimetizzando così gli sparuti episodi autentici e facendo prevalere la sensazione della forzatura di tali gesti. E’ come assistere a uno spettacolo televisivo durante il quale, di tanto in tanto, l’uomo clack invita gli spettatori a dimostrare il proprio gradimento con un applauso o una standing ovation. E’ il trionfo della finzione applicata allo sport, che bella invenzione! Ma oltre che patetica, la norma ha palesato la propria inconsistenza per via della mancanza di una pena prevista per i presunti contravventori. Così, appena alla seconda settimana di esperimento, in ben due partite il terzo tempo non è stato osservato, sostituito da accenni di rissa e scambi d’insulti tra i giocatori.
Constatato l’inevitabile e prematuro fallimento, l’unica soluzione sarebbe stata abolire l’insoddisfacente regola e cominciare a discutere seriamente su come gestire il calcio, magari spendendo meno in acquisti e ingaggi e investendo sulla valorizzazione dei giovani, o tralasciando le sterili polemiche post-partita creando i presupposti di uno sport migliore che, un giorno, possa essere da esempio – positivo – per gli appassionati. Ma al momento il terzo tempo, insieme alle altre contraddizioni, resta dov’è.
L’ostacolo, ancora una volta, viene ignorato e investito.



L'articolo è stato scritto da Mattelicus

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